sabato 28 luglio 2012

La trilogia di Apu

Bene, oggi parliamo di cinema indiano. Prima di Bollywood.
La trilogia che tratteremo, composta da Il lamento sul sentiero, Aparajito e Il mondo di Apu, è veramente una cosa da maniaci del genere, almeno negli ultimi tempi. I tre film, girati dal regista indiano Satyajit Ray tra il 1955 e il 1959, sono ambientati negli anni '20-'30 e raccontano le vicende di Apu (che non è quello dei Simpson e neanche mio cognato, soprannominato così da mia sorella) dalla sua nascita fino alla paternità.
Ne Il lamento sul sentiero, veniamo a conoscenza della famiglia di Apu, composta da genitori e sorellina; il padre, sacerdote e uomo di lettere, guadagna ben poco e la madre porta avanti la casa con modestia e preoccupazione. I pochi privilegi sono riservati al figlio maschio Apu (classico), mentre la sorella maggiore Durga viene istruita, controvoglia, ai lavori di casa da brava femmina. Molto toccante il personaggio della zia Indir, vecchia gobba e rugosa, fotografata con un realismo sconcertante e senza alcuna paura di mostrare la verità, che vive un rapporto litigioso con la madre di Apu, timorosa di non riuscire a nutrire i figli per mantenerla.
Il film chiude con la morte di Durga, ammalatasi durante un temporale, mentre il padre era in viaggio per lavoro.
Aparajito, secondo capitolo, apre con l'arrivo di Apu e i genitori a Benares, trasferitisi in cerca di un futuro migliore e per dimenticare le sofferenza patite. Ma le cose non vanno meglio: anche il padre muore e il ragazzo rimane con la madre. Allievo brillante, Apu rinuncia alla carriera di sacerdote cui vorrebbe avviarlo la madre e parte per Calcutta, dove lavora duramente per continuare a studiare.
Nonostante la fatica, per la prima volta nella vita qui si sente nel suo elemento; riduce al minimo le visite alla madre che, un po' per malattia un po' per solitudine, muore senza riuscire a salutarlo un' ultima volta.
Se nei primi due film l'interesse di Ray era quello di catturare la situazione della famiglia di Apu, in modo quasi neorealistico ma venato di poesia (anche grazie all'abile uso delle musiche), in Il mondo di Apu c'è uno scavo psicologico maggiore del protagonista, divenuto ormai adulto. In seguito a un incidente del destino, gli tocca in sposa la bella Aparna, conosciuta la sera delle nozze; per mantenerla, Apu si barcamena in diversi lavori. L'amore che sboccia tra i due è sincero e molto romantico, culminato dall'arrivo di un figlio. La ragazza però muore di parto e Apu, sconvolto, lascia il bambino ai suoceri e fugge: solo cinque anni dopo troverà la forza di reagire, conoscere il figlio e affrontare le sue responsabilità di padre.
Lo so, raccontata così viene da pensare che Apu porti un po' sfiga, vista la quantità di gente che gli muore intorno; può anche essere, ma l'importante è ciò che questi film lasciano allo spettatore.
Emozioni forti, ricordi toccanti, atmosfere poetiche e nostalgiche, bellissime immagini tratte dalla realtà: guardare Ray è come affacciarsi sull'India, respirane i profumi, conoscerne i lati belli e quelli più crudeli, ma il messaggio finale è di speranza in un futuro migliore.

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